Quattro anime, stili ed outfits differenti in cui la dicotomia regna sempre sovrana:
1) Un Oscar glam punk che abbina narcisismo, nichilismo, ambiguità sessuale, trucco appariscente a qualcosa di gipsy.Un vento frizzante che rivanga tradizioni lontane e anime itineranti e irrequiete fra nomadismo e contaminazione di stili. Un look volutamente gitano, demodè, stravagante: completo di satin nero con pantaloni a zampa, camicia rossa e bigiotteria esagerata.
2) Un Oscar elegante ma con make up e hair style estrosi: rossetto rosso acceso spalmato male, eye-liner, carnagione pallida, capelli neri arruffati ad arte. Strizza l’occhio a Robert Smith, il leader dei Cure con smoking di seta nero con trama blu fil à fil, camicia collo diplomatico,cravatta rossa come il rossetto.
3) Un dandy “ latino” un po’ barocco, agghindatissimo con gioielli color oro e una camicia giallo arancio sgargiante di strass e lurex sotto un abito albicocca. Un Oscar ammaliante con un’eleganza virile e ambigua al tempo stesso che ricorda un po’ Dalì e un po’ i personaggi di Almodovar.
4) Oscar stile gangster italo-americano ma pur sempre dandy in onore de “Il padrino” in una location interna simil newyorkese. Il vestire è classico d’ispirazione sartoriale che riecheggia riverberi d’antan perfetto per una silhouette affusolata che punta alla verticalità: abito gessato, con borsalino a righe pendant, cravatta color vinaccia, scarpe traforate all’inglese.
Nell’universo di Oscar si affaccia pure il cineteatro la cui biologia non è il destino ma un soggetto trasformabile in sede di sceneggiatura. Il messaggio è: scrivi il film della tua vita, giralo, montalo: sii il regista e l’attore di te stesso. Diventa tua madre. Diventa Eva.
E lo psicodramma titillato dai meccanismi del melodramma rappresenta la forma e la tecnica più appropriata per il cine-teatro di Oscar; non è solo un esercizio di stile ma ha una piena potenza rappresentativa, è l’anima che scalpita, che vuole uscire, che vuole esprimersi in varie forme, in varie realizzazioni di sé… E lo fa in due momenti.
Il primo è un monologo tragico, di un uomo d’onore tradito dalla moglie e dai membri del proprio clan che tira fuori tutta la sua rabbia e giura vendetta in un crescendo di tensione emotiva. Oscar all’apice del suo istrionismo.
Il secondo si avvale di una messa in scena improvvisata tra un elegante boss italo-americano che richeggia un pò “Il Padrino”, il quale attende nel suo lussuoso salotto arredato con splendidi arazzi e tappetti persiani, l’arrivo dell’amata, una donna tedesca algida e austera. Immerso nella sua vanità, in una tronfia superbia di credo e maniere perde tutta la sua apparente forza non appena la donna gli annuncia di averlo tradito e diventa fragile, impaurito, arrivando a piangere come in uno dei più appassionati feulleitons latino-americani e a supplicare l’amata di non abbandonarlo. I ruoli convenzionali nel rapporto uomo-donna si capovolgono: lui ora è una donna tradita, lei invece è un uomo fedifrago. Inversione di ruoli, il tema del doppio, lo specchio,il soliloquio come nel cinema di Almodovar o nel teatro di Pirandello. In un dialogo concitato (lui in lingua spagnola, lei in lingua tedesca), tra l’uomo e la donna si alternano momenti di lotta a momenti di tenerezza e passione. Il tutto fotografato dall’equipe italo-portoghese con a capo il master Fernando Bagnola e l’art director Max Moor e ripreso dal video maker Sergio Sousa. Un tripudio dell’arte scenica in tre delle sue realizzazioni più rappresentative: fotografia, teatro, cinema. La cornice è quella dell’antico casale romano della Muletta con i suoi arredi in stile moresco, il camino in pietra serena e i numerosi divani e splendidi arazzi.
Models: Oscar Putrino, Sara Schwarz, Tess Perrone, Maria Munoz Hernandez, Viktorija Vino
Make up and Hair Style: Daniela Argiolas, Paola Matarazzo, Monia de Padova
Master and Art Director: Fernando Bagnola Max Moor
Gioielli e accessori: Francesca Romana De Rossi Fancyland Bijoux
Organizers: Daniele Belli, Paolo Mariani, Gino Pandolfi
Photographers: Alexandre Andrade, Marta Ferreira, Sergio Sousa, Josè Enrique Ramos
Four souls, four different outfits and styles in which the dichotomy reigns supreme always:
1) A glam punk Oscar that combines narcissism, nihilism, sexual ambiguity, flashy makeup to something gipsy. A crisp wind that digs up some distant traditions and traveling and restless souls between nomadism and contamination of styles. A look deliberately gypsy, démodé, extravagant: a vintage black satin suit with flared trousers, red shirt and exaggerated costume jewelry.
2) A glam chic Oscar, elegant but with strong make up and whimsical hair style: bright red lipstick bad smeared, eyeliner, pale complexion, black tousled hair. He winks an eye at Robert Smith, the leader of The Cure! The outfit is a black silk smoking with a blue fil à fil textile, diplomatic collar shirt, bright red tie like the lipstick.
3) A dandy “latin” a little bit “baroque”, over bejeweled and with a gaudy yellow orange shirt studded with rhinestones and lurex under a vintage apricot dress. A bewitching Oscar with an elegance masculine and ambiguous at the same time reminiscent of Dalì or some Almodovar ‘s characters.
4) An Italian-American gangster style but still dandy in honor of “The Godfather” in an interior design inspired to the New York locations. The fashion look is based on a tailored fit classic outfit echoing reverberations of yesteryear perfect for a tapered silhouette pointing to verticality: pinstripe suit, fedora with striped pendant, wine-colored tie, English style pierced shoes.
In the Oscar universe also appears the cine-theatre whose biology is not destiny but a subject transformable in the screenplay. The message is: write the movie of your life, shoot it, edit it: be the director and actor of yourself. Become your mother. Become Eve.
And the psycodrama titillated by the mechanisms of melodrama is the proper form and technique for Oscar cine-theatre. It is not just an exercise in style but it has a full representative power: the artist’s Soul champs at the bit to turn up, wants to express itself in various forms, in various embodiments of itself … And it does so in two stages. The first one is a tragic monologue of an honorable man betrayed by his wife and some members of his clan that takes out all his anger and swears revenge in a crescendo of emotional tension. Oscar at the peak of his histrionics.
The second one uses an improvised staging based on an elegant Italian-American boss who echoes a little bit “The Godfather” who is waiting in his luxurious living room furnished with beautiful tapestries and persian carpets, his beloved’s arrival, a cold and harsh german woman.
Immersed in his vanity, in a pompous arrogance of beliefs and manners he loses all its apparent strength as soon as the woman tells him of betraying him and so he becomes fragile, frightened, crying like in one of the most passionate latino-american feulleitons and begging his beloved to not abandon him. The conventional roles of a man/woman relationship are reversal: now he becomes the betrayed woman and she is the unfaithful man. Themes of the role reversal, of the double, of the mirror or of the soliloquy are proper of Almodovar movies or of Pirandello theater.
All photographed by a prestigious Italian-Portuguese team lead by master Fernando Bagnola and art director Max Moor and filmed by the video maker Sergio Sousa. A triumph of scenic art in three of its most representative exhibitions: photography, theater, cinema.
The setting is that of the ancient Roman rural home of Muletta with its Moorish-style furnitures, a “serena” stone fireplace and many couches and beautiful tapestries.